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Referendum Trivelle

Referendum Trivelle.
Perché votare “SI” al referendum del 17 Aprile 2016.

L’era dell’utilizzo di prodotti fossili , almeno per la produzione di energia elettrica, volge rapidamente al termine. Già oggi il petrolio viene utilizzato essenzialmente solo per il settore dei trasporti. Anche il gas non potrà durare a lungo. Intendiamoci, non mancano le riserve, ma sono finite quelle economicamente sfruttabili. Oggi il gas viene cercato in profondità sia a terra che in mare, con costi elevati e problemi ambientali difficilmente risolvibili. Comunque per gli idrocarburi si parla di risorse finite e non rinnovabili. Solo il carbone , tra le risorse fossili, risulta ancora disponibile in quantità e diffuso territorialmente in più zone geografiche (e meno “problematiche” delle zone di interesse per gli idrocarburi).
I recenti suggerimenti COP21 sono chiaramente indirizzati a rimodulare le strategie energetiche attuali a favore di una maggiore tutela ambientale del nostro pianeta e di un più esteso ricorso alle fonti energetiche rinnovabili .
Ma andiamo al dunque, perché i fautori dell’astensionismo difendono gli interessi dei “petrolieri” ? Dalle dichiarazioni ufficiali sembra di poter individuare due motivazioni prevalenti:
– difendere i posti di lavoro attuali sulle piattaforme a mare entro le 12 miglia
– evitare che le quantità di gas “nazionale” vengano sostituite con import di gas dall’estero.
Ambedue le ragioni appaiono scarsamente convincenti e motivate.
I posti di lavoro persi , pochi tenuto conto del numero limitato di piattaforme da chiudere (al momento della scadenza delle concessioni), potrebbero essere integrati nel settore delle rinnovabili. Lo stesso Ente (ENI), che reclamizza sui maggiori quotidiani nazionali le nuove tecnologie nel fotovoltaico “concentratori luminescenti” sviluppate dal proprio settore ricerche, potrebbe provvedere al problema. In ogni caso lo smantellamento delle piattaforme richiederà personale nei prossimi anni in numero maggiore di quello da salvaguardare.
Qual è il vero motivo del NO? Forse tentare di non dismettere le piattaforme consentendo al concessionario di decidere quando e se le riserve vanno considerate esaurite evitando così di dover affrontare costi e problematiche non trascurabili. Il referendum, per chiarezza, non ci invita ad esprimere un’opinione sulla possibilità di consentire o meno le trivellazioni entro le 12 miglia ma se costringere il concessionario a dismettere le piattaforme alla fine della concessione o permettergli invece di decidere autonomamente il da farsi.
Quanto al tema della eventuale necessità di una maggiore importazione di gas dall’estero in sostituzione del piccolo quantitativo di gas estratto dalle piattaforme a mare se queste venissero chiuse, l’affermazione francamente appare risibile e si basa su una presunta incapacità delle fonti rinnovabili di sostituire il fabbisogno coperto dal gas nazionale. Le rinnovabili avrebbero invece grandi possibilità di ulteriori sviluppi. Basti pensare che già oggi in Germania, ad esempio, con minore irraggiamento solare che in Italia, è presente una potenza installata fotovoltaica (40 GWp) maggiore che nel nostro paese (18,5 GWp). In realtà il problema della sostituzione del gas con le rinnovabili presenta scenari di ben altro respiro e per questo motivo lo sviluppo è storicamente osteggiato dagli “idrocarburi”.
Perché in Italia continuare ad importare quantitativi enormi di gas dalla lontana Siberia o da paesi oltre mare, con costi notevoli per l’economia del paese e con gravi conseguenze ambientali e non tentare al contrario di sviluppare le rinnovabili e ridurre a quanto strettamente necessario tale import strategicamente ed economicamente pesante?
L’Italia ha necessità di importare energia, non avendo risorse fossili a sufficienza (le poche disponibili non sarebbero sufficienti da sole ad affrontare il fabbisogno energetico italiano di un anno, per cui sarebbe opportuno ed utile mantenerle come scorta strategica), e quindi presenta una forte dipendenza energetica dall’estero, ragione per la quale dovrebbe prima e più di altri paesi puntare sulle possibili alternative oggi disponibili riducendo l’importazione. In pratica si dovrebbe sfruttare al meglio le fonti rinnovabili , disponibili in Italia in misura ancora non ben utilizzata, riducendo il ricorso alle importazioni.
Si assiste invece ad un insensato “spreco” di risorse fossili provenienti dall’estero e ad un mancato utilizzo di risorse endogene rinnovabili.
Sarebbe sufficiente un ricorso più esteso al teleriscaldamento urbano (una unica centrale termica di quartiere e distribuzione della acqua calda per il riscaldamento civile, anziché distribuzione con rete gas e riscaldamento con piccole caldaie di condominio o autonome ) per razionalizzare l’uso del costoso metano ed eliminare i pericoli e gli inquinamenti connessi all’uso diffuso dello stesso nel tessuto urbano, con benefici ambientali per le città d’arte italiane e per i cittadini (senza ricorrere all’inutile sistema delle targhe alterne). Se poi tale centrale termica fosse di tipo “cogenerativo”, cioè in grado di produrre in sequenza energia elettrica (ad alta entalpia) ed energia termica (bassa entalpia), si conseguirebbe un ulteriore guadagno di circa il 30% sul combustibile necessario rispetto alle due produzioni separate, con notevoli benefici economici ed ambientali.
Quanto al ruolo delle rinnovabili, basta ricordare che il fotovoltaico ha ormai raggiunto la cosiddetta “grid parity” , cioè il sogno di oltre venti anni di noi pionieri del solare; in pratica il costo di produzione del chilowattora elettrico da fotovoltaico, grazie alla forte diminuzione dei costi dei componenti, risulta oggi inferiore al costo di produzione dello stesso da centrali termiche di tipo tradizionale. Il fotovoltaico pertanto non necessita più di incentivi economici come in passato ma piuttosto di normative che ne facilitino lo sviluppo.
Sarebbe quindi auspicabile un ricorso maggiore, il più alto possibile, al fotovoltaico ed in generale alle fonti rinnovabili, per ridurre per quanto possibile la pur necessaria al momento importazione di energia dall’estero.
In pratica occorre che le rinnovabili nazionali provvedano non solo alla sostituzione delle piccole quantità di gas estratto dalle piattaforme a mare, ma piuttosto provvedano alla graduale sostituzione dell’attuale eccessiva importazione di energia, riducendola nella misura la più alta possibile.
Si può quindi in generale evidenziare l’opportunità , da cogliere, di un radicale mutamento di strategia energetica che porti all’abbandono graduale ma deciso delle tradizionali tecniche basate sulla combustione di combustibili fossili, con gli inevitabili inconvenienti ambientali legati alla combustione e, nel caso del gas, con rilevanti problemi di sicurezza. Il referendum può essere una buona occasione per dare un importante impulso al cambiamento , come suggerito dal COP21 e da autorevoli voci del mondo scientifico e sociale, puntando sulle energie rinnovabili abbondantemente disponibili anche nel nostro paese.
Queste le ragioni per un motivato “SI” al prossimo referendum del 17 aprile.

* Ing. Ugo V. Rocca, Presidente RESIT

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